La Certosa venne costruita su un lieve pendio a 390 m slm. L’area edificata era dislocata su tutta la parte sommitale e circostante del pendio, tale da formare un’unica costruzione su quattro livelli, ed occupava un’area totale di 10’000 mq.

Essa si trovava alla confluenza del torrente Scaldaferri con il torrente Petto delle Crete, alle estreme pendici settentrionali del Monte Caramola (1524m slm). Dalla unione di questi due corsi d’acqua aveva origine il torrente San Nicola, a sua volta affluente di destra del Fiume Sinni.

La Certosa ha la forma di un quadrilatero (quasi a planimetria rettangolare) di dimensione 76m x 170m, con un perfetto orientamento dato dai lati minori rivolti lungo l’asse Nord-Sud e quelli maggiori rivolti lungo l’asse Est-Ovest.

Certosa
Planimetria della Certosa con le mura di clausura.

Il nucleo centrale di tutta la struttura era la Chiesa Madre, dedicata a S. Nicola, patrono della città di Bari.
Essa era una costruzione imponente con mura portanti di 80-90 cm di spessore, alte e severe.

Presentava inoltre una serie di cinque finestre strette ed alte situate a 5 m di altezza dal pavimento e disposte solo sul lato rivolto a Sud; questa disposizione dava un effetto molto particolare all’interno quando la luce vi penetrava dall’alto. Il lato rivolto ad Ovest aveva una bella facciata alta 15 m, ricca di elementi architettonici e con un portone d’entrata ampio ed imponente, su cui vi era una grande finestra quadrata, l’unica su questo lato. In alto, sulla sommità di questa facciata, era alloggiata la campana. La chiesa aveva forma rettangolare e non aveva un campanile vero e proprio come elemento architettonico separato. Sul lato rivolto ad Est vi era l’altare, molto ricco e completamente rivestito di pietre lavorate.

Mura della chiesa con cagnolini
Antico accesso alle cucine

Dietro la parete orientale della chiesa madre vi era probabilmente un terrazzo da cui si poteva avere una buona visuale su tutta la valle circostante. Questa costruzione era completamente priva di ogni accesso laterale ed ancora oggi rimane il mistero del suo uso.

Sotto di essa era stato costruito un ipogeo lungo 10 m che andava da Nord a Sud.

Ipogeo - Grotta

Il lato Nord della chiesa era completamente privo di finestre. Il tetto era fatto da lunghe travi in legno e da tegole piatte in argilla. Adiacente alle mura della chiesa madre vi erano la sala del Capitolo, la biblioteca e vicino vi era il refettorio, il luogo dove i monaci si riunivano una volta alla settimana per mangiare assieme. All’interno della chiesa vi era, a tre quarti della lunghezza, un basso muretto che serviva a separare il coro dei “frati monaci”, che seguivano le cerimonie religiose più vicine all’altare, dai “frati laici”, che dovevano restare più indietro.
Gli eventuali visitatori, rigorosamente di sesso maschile, potevano seguire la messa solamente rimanendo nei pressi del portone della chiesa.
Nella Certosa, così come in ogni altro monastero di clausura, non era ammesso l’ingresso di donne né di animali di sesso femminile.
A questo proposito vi è un documento stipulato per sancire gli accordi tra i monaci ed i coloni che lavoravano per la Certosa; in esso è scritto che le donne dei coloni dirette a raccogliere legna sul M. Caramola non potevano percorrere la strada fiancheggiante la Certosa ma dovevano prendere la strada di S. Angelo, una località situata a ben 5 km di distanza dal monastero. Per avere una maggiore immersione nella dimensione religiosa ed un totale isolamento, tutta l’area intorno alla Certosa, di circa 40’000 mq e comprendente i giardini, gli orti ed altri spazi strettamente pertinenti con la vita dei monaci, era delimitata da un muro alto 4 m e spesso 40 cm.
Tutta quest’area era attraversata sul lato occidentale del torrente Scaldaferri, la cui acqua veniva utilizzata per il funzionamento del mulino. Dalla chiesa madre si dipartivano due aree ben distinte per funzioni e struttura: sul lato Nord vi era il chiostro grande e su quello Sud il chiostro piccolo.

Il chiostro grande era lungo 33×26.8 m ed era circondato, su tre lati, dalle celle dei frati monaci. Aveva internamente un porticato coperto delimitato da colonne di arenaria ed abbellito dai capitelli ed architravi dello stesso materiale.

Sotto questo porticato i monaci passeggiavano durante i giorni di pioggia.
Il chiostro grande era diviso longitudinalmente da un basso muretto: le due parti risultanti ospitavano delle aiuole.

Nella parte Sud-Est vi era un altare con 3 gradini in pietra con sopra una croce. Al di sotto del porticato, lungo i lati in pietra con sopra una croce. Al di sotto del porticato, lungo i lati Est e Nord, vi erano degli ipogei.
Tali cunicoli erano in pietra e muratura, alti circa 2 m e larghi ugualmente circa 2 m.

Nonostante ci siano state numerosissime ipotesi circa l’uso di questi cunicoli, da mie recenti ricerche è risultato che la loro semplice funzione era quella di fungere da camera d’aria per tenere asciutte e ben isolate della umidità le adiacenti celle dei monaci situate a circa 2 m più in basso rispetto al piano del chiostro. Da esso si dipartiva un corridoio che portava direttamente ai giardini della Certosa.

Le celle erano strutturate come un piccolo appartamento su due livelli: il piano inferiore comprendeva la cucina e lo studio-laboratorio dove i monaci preparavano con pazienza certosina medicamenti da piante officinali, studiavano, pregavano e si dedicavano all’attività amanuense, al piano superiore vi era la stanza da letto.

Una curiosità: ai monaci certosini si deve la selezione di una razza di gatto domestico denominata “razza certosina” che è stata ottenuta per la prima volta in Francia.

Davanti ad ogni cella c’era un orto e/o un giardino dove il monaco coltivava ogni sorta di pianta officinale allora conosciuta.

Dal lato Nord della chiesa madre si trovava il piccolo chiostro. Sui lati Est-Ovest di questo vi erano le celle dei frati laici, mentre alla sua estremità vi era un’imponente struttura simmetrica a due piani, con volte a botte e con al centro un portone ampio e spazioso da cui entravano ogni sorta di merci e prodotti di uso nella vita quotidiana. Adiacenti al portone vi erano le due cucine a forma pressocché speculare, in cui è ancora oggi possibile riconoscere i resti dei camini, delle nicchie per le mensole pareti ed un lavabo.

Particolare delle cucine - finestra

Portone con adiacenti i resti delle cucine.

Cucine
chiostro - prato - cipresso

Queste cucine non erano solo i locali in cui veniva preparato il cibo, ma erano soprattutto importanti ambienti per la produzione, trasformazione e conservazione dei prodotti alimentari, come pane, formaggi e conserve. Adiacente alle cucine vi erano le Obbedienze.

Al lato delle cucine, ad Est, vi erano le dispense ed i magazzini per la conservazione delle derrate alimentari. Vi era inoltre un locale per la conservazione di ogni specifico prodotto: uno per i formaggi, uno per l’olio, uno per il vino, il granaio, la legnaia, etcetera.

Scorcio delle cucine - porta finestra
Cucine - prato con cane

Sullo stesso lato vi erano anche le stalle, dove sostavano gli animali da trasporto: cavalli ed asini con le loro attrezzature come carretti, cesti, selle, finimenti, etc.
Queste stalle sono oggi riconoscibili anche dal tipo di costruzione e di muratura adottata: intatti solo qui si trovano mura molto sottili ed il legante utilizzato, la calce, è di scadente qualità.

Chiostro piccolo con prato e cane nero

Dal lato esterno al portone per le merci vi era un ampio cortile di forma rettangolare che serviva per il carico e scarico delle merci. Davanti al portone vi era un’interessantissima costruzione col tetto basso e con una vasca al centro: il terminale del “lattedotto”.

Nella vasca si raccoglieva il latte che arrivava da una conduttura che si snodava lungo un percorso in discesa di circa 4 km. Il latte veniva inviato da una località sul Monte Caramola a 1’100 m di quota detta “mandria delle vacche”, dove avveniva la mungitura e l’invio del latte.

La conduttura era formata da tubi conici in argilla lunghi 51,5 e con 6,5 cm di diametro interno; essi avevano degli incastri alle estremità in modo da poter formare facilmente una lunga tubatura a tenuta stagna (Fig. 30). Queste condutture erano poste a circa 1,5 m di profondità e rappresentavano il sistema più efficiente e veloce che si potesse avere per il trasporto di un prodotto così facilmente deperibile.

I resti delle condutture sono emersi durante uno scavo da me effettuato nel presunto punto di passaggio del lattedotto localizzato sulla base delle leggende raccontate dagli anziani del luogo.

Sulla riva sinistra del Torrente Scaldaferri, che passava più vicino alla Certosa, vi era il mulino ad acqua. Era stato costruito in questo punto perché qui vi era un dislivello naturale, dove si poteva sfruttare la caduta d’acqua per l’azionamento delle pale.

Sovrastante il mulino vi era una capiente vasca per la raccolta d’acqua nei periodi di bassa portata dei torrenti e, cosa molto interessante, questo mulivo poteva funzionare con l’acqua proveniente da entrambi i torrenti fiancheggianti la Certosa. Infine, altro aspetto interessante era il funzionamento di altri due mulini situati più a valle che sfruttavano la stessa acqua raccolta presso la Certosa.

Oltre a questi locali finora descritti, la Certosa aveva un frantoio per la produzione di olio d’oliva ed un locale per la pigiatura delle uve con annessa cantina, ma di queste strutture non si è riusciti ancora ad avere la esatta identificazione.

Nel settore Sud-Est della Certosa vi era una serie di orti e giardini ricavati da terrazzamenti su terreni in lieve pendenza.

Sempre sul lato Est, vi era una splendida fontana in pietra calcarea lavorata.

Questa era stata costruita proprio laddove sgorgava una sorgente.
Inoltre dalle falde di questa sorgente erano stati costruiti dei cunicoli sotterranei che servivano a drenare i terreni circostanti e a far confluire più a valle l’acqua della sorgente stessa in modo tale che fosse utilizzabile anche dai coloni, e servisse per abbeverare le greggi che transitavano numerose da quelle parti.

L'edera protegge l'intonaco
Parte del chiostro grande

Notare l’intonaco ancora intatto sotto l’edera e mancante nella parte superiore.
L’edera tiene unite le pietre e protegge l’intonaco, oltre ad essere elemento importante dell’ecosistema.
È molto difficile farne comprendere l’importanza “ai non addetti”: senza di essa i muri sarebbero crollati già da molto tempo.
Chi non dispone delle giuste competenze, interverrebbe prima di tutto eliminando l’edera, considerandola “inutile vegetazione”, causando quindi crolli e danni irreparabili alle strutture, (vedi continui crolli nella città antica di Pompei).